Incontro un ex renziano, dirigente locale, da una vita, prima del Pci, ora del Pd, che mi dice di votare Schlein. "Provo con Elly, come ai tempi che votai Renzi, serve una rottura", afferma allargando le braccia. Ma poi va ancora su Renzi, riversando bile pesante, esternando la grande delusione verso l’ex. Non vuole sentire il mio invito a guardare avanti, per lui il fantasma Renzi è ancora lì, sospeso, in procinto di ritornare se vince Bonaccini. La singolar tenzone, Bonaccini o Schlein, delle primarie del 26 febbraio, gira su chi è di più contro Renzi. Ma quale opposizione e centrodestra, il problema è e rimane Renzi. Indicato come colui che ha distrutto il partito determinando la sconfitta nelle varie elezioni che si sono succedute.
Questo è uno dei sentiment dominanti di chi si recherà al voto per scegliere il futuro segretario del Pd. E se il buongiorno si vede dal mattino è facilmente prevedibile come andrà finire. Se vince Bonaccini (su HuffPost avevo scritto che Bonaccini è il predestinato), le truppe di comando dietro la Schlein, chi è stato in più governi, la cosiddetta sinistra, quelli che hanno preferito sempre il vincitore tronfio di gratitudine, lavoreranno ai fianchi il governatore dell’Emilia Romagna, lo snerveranno come fecero con Renzi. Viceversa, se vince la Schlein, alcuni supporter di Bonaccini non staranno fermi. Dai vecchi amici riformisti di casa Renzi che potrebbero lavorare ad altro, per finire ai vari uomini soli (quelli delle regioni, Emiliano e De Luca) che se ne andranno ancora più per loro conto, infischiandosene di Elly.
Si ritorna così alla ‘grossa crisi’ del Pd. L’incapacità di tenere insieme diverse personalità, modi di pensare il partito, di gestire maggioranza e minoranza, di darsi delle regole di convivenza interna. Ho proposto, in tempi non sospetti, il centralismo democratico in uso durante la segreteria Pci di Berlinguer. È reale, con le riunioni in diretta streaming, i social parlanti h24, i talk affamati di polemiche e voglia di contare (l...
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