
Cosa fa la differenza tra un buon programma agli inizi e uno ormai rodato in un format? L'assenza di spontaneità. Tutto sembra diventare oggetto di calcolo tra ciò che funziona e non, lasciando poco al caso, che spesso è portatore di momenti epici. È ciò che potrebbe accadere anche a Belve, che ha esordito ieri in prima serata su Rai 2. In un prime time ricco di programmi alternativi, tiene botta agli ascolti ma non brilla. Ci si rincorre nelle analisi su ciò che ha funzionato e cosa no, ma il punto sembra essere sempre uno: preservare la spontaneità e non abusare.
Accade di continuo di assistere alla deriva di format televisivi che vengono talmente usurati da perdere l'elemento novità e risultare all'improvviso tiepidi. Belve parte da un'idea, un tempo ‘barbarica', di epurazione della parte divistica del personaggio e di rimozione dei lustrini a un certo tipo di giornalismo che puntualmente si trova invischiato nella priorità di intrattenere prima che di informare. Non ha ceduto il passo sul NOVE, non l'ha fatto nemmeno dopo su Rai 2 in seconda serata, custodendo gelosamente l'aspetto minimal per restituire l'intimità di uno studio fatto solo per due protagonisti: il giornalista preparato e un po' sfrontato su uno sgabello, la star pronta a mostrare gli artigli sull'altro.
Belve funziona perché queste chiacchierate intime hanno il sapore di confessioni domestiche, qualcosa che non sarebbe mai possibile rendere pubblico. È riuscito ad abbassare il volume di alcune interviste che necessitavano di clamore per essere viste, portando il tutto su un piano che è diventato insolito, quello del contenuto. Domande ...
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